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CANTO D’AMORE… MA IL SIGNORE DARA’ LA VIGNA AD ALTRI CONTADINI…

 

 

Riprendiamo il nostro incontro sul blog.

 

Dopo la festa di S. Luigi e le bellissime attività estive (grazie a Dio e a tutti quelli che le hanno rese possibili…)… Cerco di tenere presente i suggerimenti di alcuni, ho cercato anche di essere più breve…

 

Matteo rilegge in questa parabola, la terza sulla “vigna”, la storia di Israele: Dio, l’innamorato del suo popolo, ha continuamente mandato i profeti, ma Israele non li ha accolti, anzi li ha uccisi.
La parabola è semplice e drammatica.

C’è il padrone della vigna e ci sono i poveri affittuari o mezzadri. Sovente vi erano conflitti o in ragione dello sfruttamento dei padroni o nel caso che i vigneti non dessero il raccolto aspettato. La speranza dei vignaioli non è illogica giacché era possibile usucapire un fondo abbandonato.
Il comportamento del padrone è assurdo nell’amore: nonostante i suoi messaggeri vengano uccisi, lui continua a provarci.

Ma anche il comportamento dei vignaioli è altrettanto assurdo, visto che il padrone è vivo: questo descrive la loro malvagità e l’ottusità di chi non vuol vedere.
Questo vangelo è la sintesi di secoli di storia del popolo ebraico. C’è stato un amore e c’è stato un rifiuto. I servi sono tutti i profeti. Lungo tutto il corso della storia Dio ha mandato i profeti, suoi messaggeri, perché Israele si accorgesse di essere sul sentiero e sulla strada sbagliata, ma Israele non si è ravveduto.

In Isaia al capitolo 5 troviamo queste parole d’amore: “Il mio amico possedeva una vigna, la cinse con un muro, vi costruì una torre, ma, nonostante ogni impegno, la vigna, invece di uva, fece uva selvatica. E ora siate giudici fra il mio amico e la sua vigna.

 

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La vigna del Signore è Israele”. Tutto l’A.T. è la storia di quest’amore di Dio (e i profeti ne sono i testimoni) e del rifiuto del suo popolo.
Poco più avanti Gesù dirà: “Gerusalemme, Gerusalemme, tu che uccidi i profeti e lapidi coloro che sono inviati a te, quante volte ho tentato di radunarti sotto l’ala della protezione di Dio” (Mt 23,37). E il figlio, cacciato fuori dalla vigna per essere ucciso, è immagine di Gesù cacciato fuori da Gerusalemme.

Storicamente è sempre successo così: Dio risiede dove lo si lascia entrare,(come ricorda M.Buber nel suo Cammino dell’uomo) altrimenti, in punta di piedi, se ne va. La vigna è il segno dell’amore di Dio, di una proposta di felicità, di vita piena. Ora se questa proposta non viene più accolta, passa ad altri popoli e ad altri vignaioli.
Ci fu un tempo in cui il popolo accolse il Dio Vivo. Ma nel tempo la fede si affievolì e Dio se ne andò altrove. Cioè: quando la fede si sclerotizza, si fossilizza, non si rinnova, quella fede muore…
Non è detto che l’Italia o l’Europa, un giorno, non possano subire la stessa sorte. Finché l’acqua si muove, c’è vita; quando l’acqua stagna, la vita è impossibile. Don Lorenzo Milani, trent’anni fa provocatoriamente, scriveva: “Un giorno l’Europa sarà evangelizzata dai cinesi”.

La parabola inizia con l’amore del padrone. Il padrone fa tutto bene: pianta, circonda, scava, costruisce e affida. È la cura e l’amore di Dio. Ma lo rifiutano. Perché?
Gesù è venuto nel nome dell’amore, della bontà, della guarigione, della non-violenza, per darci una vita piena e sensata. Ma lo abbiamo rifiutato. Perché? Perché rifiutiamo Gesù? Non è abbastanza buono? Ci ha mai detto bugie? Ci ha mai ingannati? Non ci ha forse guariti, fatti resuscitare, sfamati, perdonati, illuminati? Non ci ha forse fatto sentire quanto perdutamente ci ama? Lo rifiutiamo solo perché ci dice la verità?
Abbiamo visto i tuoi miracoli, ma i nostri occhi non ti hanno riconosciuto. Abbiamo visto la tua vita, ma la nostra vita non è cambiata, non si è convertita. Abbiamo sentito le tue parole, ma il nostro cuore non si è lasciato contagiare. Abbiamo sperimentato le tue guarigioni, ma la nostra mente si è chiusa in disquisizioni teologiche per ucciderti ed eliminarti finché eri sulla terra perché ci facevi troppa paura.
Ma che cosa dovevi fare? Ma di che cosa doveva parlarci Gesù per avere la nostra fiducia? Che cosa dovevi fare perché ti accogliessimo, ti accettassimo, ti facessimo entrare nel nostro cuore?

Che cosa devono fare le persone perché possiamo credere che vengono nel nome dell’amore? Che cosa devono dirci o dimostrarci le persone? O il problema siamo noi? O il problema è il nostro cuore?
Noi non vediamo le migliaia di gesti d’amore che le persone ci fanno e continuiamo a recriminare. Non vediamo la bontà che c’è attorno a noi, di chi ci aiuta e ci sostiene. Non vediamo la bellezza che ci circonda e che ci illumina ogni mattina quando apriamo i nostri occhi. Non vediamo la vita e l’amore che pulsa attorno a noi, e che potrebbe stupire e rallegrare la nostra vita, e continuiamo a lamentarci per quello che ci manca e che non abbiamo.
Solo quando muore una persona ci accorgiamo di quanto era importante e di quanto ci amava: perché non farlo prima?

Molte persone sono così “ego-centrate” che un gesto negativo nei loro confronti distrugge migliaia di gesti d’amore. Sono persone dall’animo sclerotizzato: tutto deve girare attorno a loro. Tutti devono rispettarli, amarli, metterli al centro dell’attenzione e soprattutto farlo sempre.

Cosa fanno i vignaioli? Vogliono possedere ciò che non si può possedere: la vigna non è loro. La vigna va curata, fatta fruttificare, lavorata, ma non è loro. E questo è il loro problema. Il grande problema dell’uomo è che la morte esiste. Per cui l’uomo non ha potere su nulla. Non c’è nessuna cosa a cui tu possa dire: “Tu sei mia”. L’uomo, se ci pensa bene, non è proprietario di nulla. Non abbiamo diritto a niente e nessuno ci deve qualcosa perché non possediamo nulla. Questo ci fa sentire vulnerabili, spogli, nudi e impotenti. Per questo ci illudiamo possedendo e accumulando.
L’amore non si può possedere. L’amore va espresso, condiviso, manifestato, ma non lo puoi possedere. L’altro non puoi farlo tuo. L’altro rimarrà sempre un dono.
La vita non si può possedere. Può essere vissuta, intensa, realizzata, gustata, ma non si può possederla. La vita non si possiede: si vive. Non dare anni alla tua vita, ma dà vita ai tuoi anni. C’è della gente che si comporta come se dovesse vivere per sempre.
I figli non si possono possedere. Non sono nostri: vengono, restano, vanno. Ce ne prendiamo cura, li facciamo crescere, ma poi li lasciamo andare. I figli non sono miei, sono del Signore.
Le persone non si possiedono. Vengono, restano, un giorno se ne andranno ed è bene saperlo subito.

Le persone sono un dono: rallegrano la nostra vita, le conferiscono profondità e significato, ci danno forza, complicità, unione e tant’altro, ma non sono nostre e non le possiamo possedere. Quando vengono dobbiamo dire: “Grazie”. Quando vanno dobbiamo dire grazie lo stesso: “Grazie per ciò che abbiamo condiviso. Anche se mi fa male vai per la tua strada e io farò la mia”. Quando le persone se ne vanno dovremmo innalzare preghiere a Dio non perché le faccia tornare da noi, ma per ringraziarlo e benedirlo della fortuna che ci è capitata nell’incontrarle per tutto questo tempo.
Tutto ci viene affidato e niente è nostro. Tutto è un dono e di niente ci si può impossessare. Tutto è gratuito e niente può essere preteso.

 

La vigna è anche, in ultima analisi, la mia vita. La mia vita è stata creata perché porti frutti, perché sia feconda e si espanda. La Vita, Dio, ha fatto ciò che doveva fare: poi ha affidato a me la mia esistenza. La mia vita non è mia, mi è stata donata, come la vigna del vangelo, perché porti frutto, perché sia gustosa come il vino.
Dio non mi abbandona e quando si accorge che ho sovvertito l’ordine, quando mi allontano dal portare frutto, dall’essere ciò che posso essere, quando mi allontano dalla mia essenza, allora mi manda dei messaggi: “Stai attento perché qui le cose non vanno; stai andando incontro alla tua rovina”. Ma l’uomo spesso se ne infischia di questi messaggi, ride e fa finta di niente.

 

Quando noi leggiamo questa parabola diciamo:

“Ma come hanno fatto a non capire?

Il vangelo esprime in maniera meravigliosa cosa accade quando c’è qualcosa che non va, ma noi facciamo finta di niente. La vita ci manda segnali più forti (ma anche più pericolosi), perché noi li possiamo ascoltare, perché la Vita tenta di aiutarci, è amica (per chi l’ascolta).

Il messaggio arriva, ma tu “lo bastoni”, te la ridi. Allora lei te ne manda uno di più forte: ma tu “lo uccidi”, lo rifiuti, neppure accetti di sentirlo. Allora te ne manda un altro ancora più forte (“lo lapidarono”), sperando che tu possa ravvederti: ma tu non lo ascolti. Allora te ne manda uno fortissimo (“il figlio”): ma tu non lo ascolti e anzi te la prendi con lui. A questo punto la situazione potrebbe essere irrimediabile: stai attento!
La Vita è buona e ci in-vita ogni giorno con dei piccoli grandi messaggi.


Qualunque cosa ti succeda, ti arrivi, chiediti (senza ansie!): “Cosa mi vuol dire? Cosa devo imparare?”.


Allora ogni giornata diventa una scuola di vita e finché vivi, tu ti formi e impari. Non c’è maestra più grande della vita per chi la ascolta. È vivendo che impareremo a vivere.


Ho comprato molti libri che mi sembravano interessanti. Alcuni li ho letti subito, altri li ho lasciati lì. Dopo molto tempo, alcuni li ho ripresi e leggendoli mi sono detto: “Che meraviglia questo libro!”.

La vita è così: alcuni messaggi si capiscono subito, altri nel tempo. Ma ciò che è importante è accogliere tutto, ascoltare ciò che ci succede, le malattie del nostro corpo, i sentimenti della nostra anima, i fatti che ci succedono. Tutto parla (o niente parla). Ciò che conta è rimanere aperti e anche se qualcosa non si capisce subito non buttarla in cantina, dimenticarla, ma tenerla lì. A suo modo e a suo tempo parlerà.

 

 

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È molto bella quella storia che racconta di un uomo e di tre barche. Ci fu una grande inondazione. L’acqua era salita fino al primo piano e l’uomo si rifugiò nel tetto. Arrivò la protezione civile su di una barca per portarlo in salvo. Ma l’uomo disse: “Dio mi ha detto che qualunque cosa mi capiti lui mi salverà”. E non ci fu verso di farlo salire. L’acqua arrivò al tetto e di nuovo la protezione civile venne per prenderlo. “Dio mi ha detto che lui mi salverà”. L’acqua gli arrivò al collo. Vennero di nuovo, ma l’uomo fu irremovibile. Sapete cosa capitò: che morì affogato. Quando andò di là e incontrò il Signore gli disse: “E che mi avevi detto di non preoccuparmi! Mi avevi detto che qualunque cosa sarebbe capitata tu mi avresti salvato…!”. E il Signore rispose: “Amico, ti ho mandato tre barche”.


 

 

Il Don

don Alberto Cinghia