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Da trent’anni, compio i gesti sacramentali dell’Eucaristia.

C’è un efficacia che non viene da me, non dipende da me, che è indipendente dalla mia povera fede.

Una volta per tutte, l’ha fatto lui per noi, per ognuno.

Andiamo con i piedi della fede, con gli occhi e il cuore della fede alla Sala Alta, al Calvario, e al Giardino e diventiamo contemporanei di quella prima Pasqua così che quella Pasqua diventi nostra contemporanea: è il memoriale.

Questa notte vorrei soffermarmi sul mistero dei piedi.

Siamo partiti 40 giorni fa mettendo un po’ di cenere sulla testa per arrivare questa notte ad un po’ di acqua sui piedi.

Una strada apparentemente di poco meno di 2 m ma molto più lunga e faticosa. Occorre tutta la vita per fare questa strada con consapevolezza. Ed è anche molto vero che in questi ultimi anni sta emergendo nella coscienza cristiana l’idea forte che i piedi dei poveri sono il traguardo di ogni serio cammino spirituale.

I piedi di Pietro sono i piedi di colui che resiste (no, Signore, è troppo, tu non sei il mio lavapiedi… E Lui: sono come lo schiavo che ti aspetta, e al tuo ritorno ti lava i piedi).

 

 Ha ragione Paolo: il Cristianesimo è scandalo e follia… Ma Dio che è Gesù è così: è bacio a chi lo tradisce, non spezza nessuno, spezza se stesso… Non versa il sangue di nessuno, versa il proprio… ne esce capovolta ogni immagine di Dio…ed è ciò che ci permette di tornare ad amarlo con cuore libero) i piedi di Pietro sono i piedi di fronte quali siamo chiamati a fermarci. Gesù ce lo ha detto: Anche Pietro è un povero. Povero di amore, Bisognoso di amore. Mi riferisco a Pietro il primo e a Pietro che oggi si chiama Francesco.

 

L’amore, il perdono, la riconciliazione, il servizio sono parole che appartengono alla vita umana, anche ad altre fedi, ma la vita di Gesù ha dato un volto preciso a queste parole e il tutto in un avverbio: Come. 

 

“Come io ho fatto a voi”.

Come.

La fatica di Pietro davanti al gesto di Gesù esprime la fatica davanti a un dio diverso da come lo immaginiamo.

Il gesto della lavanda dei piedi viene sempre incorniciato dalla grande parola “servizio” che però nel Vangelo non c’è.

 

L’essenza dell’amore di Gesù sta nel come del suo servizio.

!

La fede e la vita di Gesù sono la critica e la condanna totale di ogni religione che dimentica il servizio ai piedi dell’uomo e della donna come criterio di verità!

Essere cristiani, cioè cercare di vivere come Gesù, significa mettersi a servizio dell’uomo con i piedi per terra, per mettere in piedi l’umano soprattutto quando è ferito, bloccato, sporco.

 

 Il grande poeta Tagore, poeta indiano, (ricordiamo così anche madre Teresa di Calcutta) scrisse:

“Dormivo e sognavo che la vita vera gioia,

Mi svegliai vidi che la vita era servizio.

Cominciai a servire e vidi che il servizio è gioia..

 

E qui, concludendo, entra il tema della tenerezza e certamente dobbiamo al Pietro di oggi, Francesco, l’aver riportato al centro della vita della Chiesa questa parola bella: Per lui misericordia è tenerezza.

La tenerezza è atteggiamento adulto, cioè è una virtù dolce, ma tutt’altro che debole:

è dolce Gesù questa sera ma il gesto è forte e di un’aggressività  evidente: Perché strappa l’adulto dal volersi rintanare nelle conseguenze della sua fragilità: tenerezza è chiamare per nome la fragilità  degli altri e prendermene cura: voi futuri sposi, Noi tutti...

Ci sono piedi sporchi ma la tenerezza nel lavarmi significa accorgersi della fragilità che sta nella fatica, nel guardare a una vita che può ripartire. Sempre e con il “come” di Gesù.

La tenerezza accoglie la fragilità di ciò che esiste, lo vede minacciato, ma invece di cedere alla nostalgia, al risentimento, alla rassegnazione, diventa meraviglia e stupore per qualcosa che si rivelerà nel futuro, nella forma delle promesse e del dono.

Pietro non resiste più davanti all’amore…

 

 Potrebbe capitare anche noi, oggetto e soggetto della tenerezza di Dio, sentirsi sussurrare da un fratello o da una sorella, come quella sera con Gesù:

 

 “Non solo i piedi, ma anche le mani e il capo”

Il Don

don Alberto Cinghia