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SUPPLICA A SAN PAOLO VI NEL TEMPO DELL’EPIDEMIA
Ci rivolgiamo a te,
san Paolo VI,
nostro amato fratello nella fede,
pastore della Chiesa universale
e figlio della nostra terra bresciana.
Ti presentiamo la nostra supplica,
in questo momento di pena e dolore.
Sii nostro intercessore presso il Padre della misericordia
e invoca per noi la fine di questa prova.
Tu che hai sempre guardato al mondo con affetto,
tu che hai difeso la vita e ne hai cantato la bellezza,
tu che hai provato lo strazio per la morte di persone care,
sii a noi vicino con il tuo cuore mite e gentile.
Prega per noi,
vieni incontro alla nostra debolezza,
allarga le tue braccia, come spesso facesti quando eri tra noi,
proteggi il popolo di questa terra che tanto ti fu cara.
Sostienici nella lotta,
tieni viva la nostra speranza,
presenta al Signore della gloria
la nostra umile preghiera,
perché possiamo presto tornare
ad elevare con gioia il nostro canto
e proclamare la lode del nostro Salvatore.
Egli vive e regna nei secoli dei secoli.
Amen.

+ Pierantonio
Vescovo

 

 

 

ORZINUOVI

"Siete la comunità più colpita da questa epidemia che sta spargendo tanto dolore - sono state le sue parole - Ogni giorno penso a coloro che stanno lottando negli ospedali, malati, medici, infermieri. Penso ai parenti che non possono avvicinare i loro cari nella sofferenza, penso a quanti sono preoccupati, e lo siamo un po' tutti, che questo contagio continui a diffondersi. E poi i nostri cari che muoiono, che non cel la fanno. Ogni giorno affido tutti alla misericordia del Signore per intercessione della Beata Vergine delle Grazie. Leviamo lo sguardo alla croce del nostro Redentore, segno di amore e di vittoria, e camminiamo nella speranza".

 

 

CITTÀ DEL VATICANO , 15 marzo, 2020 / 11:06 AM (ACI Stampa).- 

La prova di questa epidemia è un avvertimento. È qualcosa che Dio usa per farci riflettere, per spingerci sulla strada del bene. Non perdiamo l’occasione”. Il cardinale Angelo Comastri, arciprete della Basilica di San Pietro, lo sottolinea al termine di una omelia densa, centrata sul Vangelo del giorno che vede Gesù sul pozzo ad aspettare la samaritana, in cui tutto è teso a ricordare che non c’è salvezza senza Gesù.

Lo sottolinea già all’inizio della Messa. “Siamo fragili, e l’unica roccia è Dio. Dio ci ha dato una legge per non farci del male. Ma la società ha voltato le spalle ai comandamenti di Dio, molti si comportano in modo opposto a quello indicato dai comandamenti di Dio. Non possiamo chiedere a Dio di impedire al fuoco di bruciare, dobbiamo chiedere la saggezza di non mettere le mani sul fuoco”.

La messa nell’altare della cattedra è diffusa in diretta perché non ci sono celebrazioni pubbliche. Poche persone in basilica, abitanti del Vaticano, tutti a distanza l’uno dall’altro.

Il cardinale Comastri comincia l’omelia ricordando i grandi della storia che hanno riconosciuto la superiorità di Cristo. Da Blaise Pascal, un vero genio, che “nella notte tra il 23 e il 24 novembre 1654 capì che Gesù è la mano tesa dalla cattiveria per tirarci fuori dalla cattiveria e per donarci la vera pace nel cuore”; allo scrittore russo Fedor Dostoevskij, che nel 1854 afferma di essere “figlio del secolo del dubbio e della mancanza di fede”, ma il simbolo che lo fa sentire in pace è “Credere che non c’è nulla di più bello, nulla di più consapevole, nulla di più coraggioso di Gesù Cristo. E non solo non c’è. Non può esserci”; fino a Napoleone, che sull’isola di Sant’Elena confida al generale Bertrand: “Io conosco gli uomini, e le dico che Gesù non era solo un uomo. Tra il cristianesimo e qualsiasi altra religione c’è la distanza dell’infinito: Gesù Cristo è unico”.

L’unicità di Gesù Cristo sta nel fatto – chiosa il Cardinale – che questi è “Dio fatto uomo”, e “se si è fatto uomo fino a venire ad abitare in mezzo a noi, la speranza è legittima: in mezzo a tanta follia, tanta cattiveria che vediamo esplodere ogni giorno, c’è un rivolo di luce, e chi si apre alla luce è libero dalle tenebre”.

L’episodio del Vangelo lascia capire la sensibilità di Dio. Gesù, andando a Nord, decide di passare dalla Samaria, terra di eretici, e aspetta la donna samaritana, disprezzata da tutti. Ma Dio – dice il Cardinale Comastri – “Dio non ha le nostre ripugnanze, desidera salvare, prova sentimenti di misericordia verso coloro che peccano e fa festa. Quanto è consolante questo fatto e quanto abbiamo da imparare dal comportamento di Dio”.

Gesù non insulta la samaritana, ma le parla “con grande umiltà” perché “in Dio non esiste arroganza, orgoglio, risentimento”. E a lei, Gesù svela “che c’è un’acqua che toglie definitivamente la sete, una acqua che riempie il cuore e lo rende felice, ed è un’acqua che è l’amore puro, che spinge ad uscire dall’egoismo donando se stessi agli altri”.

Il Cardinale Comastri nota che i “i fatti confermano le parole di Gesù. Frequentate chi fa il bene, e troverete un senso di appagamento che non può dare nessun divertimento e nessuna ricchezza nel mondo. Profondamente vero che le persone buone, quelle che fanno del bene, sono felici. Nessuno è tanto felice quanto un vero cristiano”.

Spiega il Cardinale, “Dio è umile, è infinitamente buono, ma non scende mai a compromessi con la menzogna e con il peccato. Gesù fa capire alla donna che la sua vita è sbagliata, che la sua vita è costruita sul fango e pertanto questa vita non la renderà felice. Per questo dice alla donna: chiama tuo marito e torna qui”.

In questo modo, “Gesù le fa notare il disordine della sua vita e questa è vera carità. Dire verità è la prima carità. La donna sicuramente uscì dall’incontro con Gesù profondamente cambiata”.

Da qui, l’insegnamento a “dire sempre la verità. Se un comportamento è sbagliato dobbiamo dirlo, ma con carità per evitare che il risentimento possa allontanare la persona dalla verità”.

Letto in questa luce, anche “La prova di questa epidemia, è un avvertimento, è qualcosa che Dio usa per farci riflettere, per spingerci nella strada del bene. Non perdiamo occasione”.

 

Il Don

don Alberto Cinghia