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3. Il canto è un segno liturgico

Ecco allora la vera funzione del canto: essere un segno liturgico, cioè deve rimandarci al di là di se stesso.

Quando è unito strettamente all’azione liturgica, quando aiuta l’assemblea cristiana a sentirsi “una voce” nell’innalzare la lode al suo Signore, quando realizza la vera solennità celebrativa, quando il testo esprime ed evidenzia la Parola, quando si utilizza al meglio e con precisione il linguaggio musicale: solo allora possiamo dire che quel canto è un vero segno liturgico.

Segno liturgico

Il canto segno liturgico è uno dei segni più sensibili che il culto ha a disposizione. Perciò è necessario che esso sia compreso ed inserito in modo diverso da come fin’ora è stato adoperato.

Se la musica è segno del mistero, deve come tutti i segni, condurci al di là di se stessa.

Quando ci comunichiamo non lo facciamo per assaporare sulle labbra il gusto del pane o del vino, ma per mangiare sacramentalmente il corpo e il sangue di Cristo.

Quando cantiamo o ascoltiamo, o suoniamo, non lo facciamo per recarvi un piacere estetico-musicale, per quanto nobile, ma per diventare più profondamente con tutta la Chiesa, quella supplica o quella lode che noi stessi esprimiamo.

Impegno di tutti, sacerdoti e laici, sarà quello di rendere parlante questo segno liturgico del canto. Impegno ad autenticare i segni: ad ogni gesto esterno deve corrispondere un’attitudine interiore, un frutto di preghiera e di grazia.

“Se canto non sarò un semplice esecutore di musiche: sarà l’atto del pregare cantando; sarà l’espressione viva della gioia che mi erompe dall’intimo; sarà l’atto con cui sintonizzo il grido del mio cuore con quello dei fratelli”. (M. Magrassi).

È questo allora il cammino da far percorrere non soltanto alla musica, ma a tutti i segni ed i gesti impiegati nella celebrazione: i segni devono essere chiari, semplici e veri. Una parola deve dire qualcosa, una lettura deve trasmettere un messaggio, una acclamazione deve acclamare; un salmo deve essere una salmodia, un inno deve essere un canto degno di tale nome.

Alcuni primi interrogativi per un esame di coscienza: perché tante preghiere incomprensibili, perché tanti prefazi sciatti, tanti alleluia parlati; e che pena ascoltare il tre volte santo che non esprime adorazione e lode al Dio santo e trino?.

Quando uno canta o suona nella liturgia, a un certo punto la realtà musicale scompare. La musica, come l’angelo dell’Annunciazione, una volta adempiuto il proprio compito, scompare per permettere alla Parola di Dio di entrare nel cuore del credente.

La musica conduce all’incontro con Cristo, non lo sostituisce. Per tale motivo anche durante la stessa celebrazione, ad un certo punto, deve succedere che la musica non deve più preoccupare o attirare su di se l’attenzione degli stessi musicisti, deve “scomparire”.

Cantare con il cuore e non soltanto con le labbra.

Il ministero del canto è uno strumento di cui si serve lo Spirito Santo per muovere alla lode i cuori. Occorre integrare la tecnica della voce e la tecnica del cuore; occorre una vera vocazione ed una risposta effettiva a tale vocazione.

Significa affrontare concretamente un cammino di catechesi e di formazione cristiana; saper accogliere ed assimilare quanto i testi propongono.

Senza le note non c’è musica, ma le note da sole non fanno la musica, ci vuole lo spirito artistico ed interpretativo. Questo capita anche nella vita di fede.

Anche Paolo VI parla così del canto:

“E che il canto divenga coefficiente della vita cristiana, come esorta sant’Agostino “cantate con la voce, cantate con la bocca, cantate con i cuori, cantate con un comportamento retto (…) cantate al Signore un canto nuovo!

La sua lode risuoni nell’assemblea dei santi”.

Il cantore, egli stesso, è la lode che si deve cantare.

Volete dire la lode di Dio?

Voi siete la lode che si deve dire.

E siete la sua lode, se vivete in modo retto”.

 

Il Don

don Alberto Cinghia