Stella inattivaStella inattivaStella inattivaStella inattivaStella inattiva
 

 

NON POTREMO DIMENTICARE

La voce dello Spirito in un tempo di prova

 

LETTERA PASTORALE 2020

PIERANTONIO TREMOLADA, VESCOVO DI BRESCIA

 

 

Gli inviti che ci vengono dall’esperienza vissuta

 

primo invito a puntare sull’ essenzialità della vita cristiana;

secondo a sentirsi comunità nell’appartenenza viva alla Chiesa;

terzo a promuovere coraggiosamente un rinnovamento della società;

quarto, infine, a mantenersi nella prospettiva del mistero eucaristico.

 

         Seconda essenzialità:

Sentirsi comunità nell’appartenenza  alla Chiesa

 

II secondo appello che ci giunge dall’esperienza vissuta nei giorni dolorosi dell’epidemia da coronavirus mi sembra riguar­di la Chiesa nella sua dimensione di comunità. Lo esprimerei così: siamo chiamati a sentirci comunità nell’appartenenza alla Chiesa, a vivere cioè nella Chiesa il calore delle relazioni sane e intense di cui il cuore sente il bisogno. Se l’amore costituisce l’essenza stessa del vivere, la Chiesa può offrire al mondo la testimonianza umile e potente di una socialità edificata nell’amore, in grado di superare l’individualismo, di contrastare le spinte che dividono e di riscat­tare dalla solitudine.

 

        La gioia di non sentirsi soli

 

Ci guardiamo intorno e ci rendiamo conto di quanto sia forte il bisogno di non sentirsi soli. Nel mondo in cui viviamo i le­gami sono diventati deboli. La globalizzazione ha creato una mag­giore interdipendenza, ma non una maggiore unità tra persone. Più che di legami l’esperienza che viviamo è piena di contatti, per loro stessa natura veloci e precari. Il contesto generale spinge nella dire­zione opposta a quella di un coinvolgimento totale e definitivo nelle relazioni: si mantengono le distanze, ci si riserva il diritto di prova­re e di cambiare, si vive come costantemente sospesi. Il fenomeno ha un suo risvolto anche sul versante educativo: il mondo adulto appare debole, e in diversi casi latitante nel rapporto con le nuove generazioni sempre più disorientate. Eppure in tutti è oggi più vivo che mai il bisogno di non essere abbandonati a se stessi, di trovare un contesto relazionale caldo e sincero in cui sentirsi a casa. Non una relazionalità di compromesso, semplicemente funzionale, ma qualcosa che alla fine meriti il nome nobile di comunità', una socia­lità fatta di accoglienza, simpatia, amicizia, fiducia, aiuto reciproco.

La Chiesa è per definizione tutto questo, a partire dal mistero di grazia che l’ha generata. La sua prima testimonianza è quella di una socialità redenta, calda e accogliente, che assomigli a quella della prima comunità di Gerusalemme. Di questa comunità il Libro degli Atti degli Apostoli racconta che godeva la simpatia di tutto il popolo, perché tutti quelli che ne facevano parte stavano insieme in gioia e letizia, avevano un cuore solo, un’anima sola e si aiutavano a vicenda, di modo che nessuno tra loro era bisognoso (cfr. At 2,42-47; 4,32-34).

 

“Erano perseveranti nell'insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere. 43 Un senso di timore era in tutti, e prodigi e segni avvenivano per opera degli apostoli. 44 Tutti i credenti stavano insieme e avevano ogni cosa in comune; 45 vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno. 46 Ogni giorno erano perseveranti insieme nel tempio e, spezzando il pane nelle case, prendevano cibo con letizia e semplicità di cuore, 47 lodando Dio e godendo il favore di tutto il popolo. Intanto il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati.”

 

Erano davvero una comunità di «fratelli e sorelle» e tali si sentivano per la fede in Gesù, il Signore di tut­ti. Se dunque a questa esperienza di comunione aspira ogni cuore umano, potremo dire, usando la celebre espressione di san Paolo VI, che la Chiesa è «esperta in umanità». La Chiesa, infatti, sa che cos’è una vera comunità.

 

        Essere Chiesa nel mistero della Grazia

 

Nessuno tuttavia si illuda. L’esperienza di comunione che è propria della Chiesa viene dall’alto. Solo l’apertura all’azione dello Spirito santo e una profonda conversione del cuore la rendono pos­sibile. È dal mistero di Cristo che sorge la Chiesa e solo attingendo­vi costantemente essa non si corrompe. Lo dice bene la lettera agli Efesini:

 

«Tutto infatti egli ha messo sotto i suoi piedi [di Cristo] e lo ha dato alla Chiesa come capo su tutte le cose: essa è il corpo di lui, la pienezza di colui che è il perfetto compimento di tutte le cose. Anche tutti noi un tempo siamo vissuti nelle nostre passioni carnali seguendo le voglie della carne e dei pensieri cattivi: eravamo per na­tura meritevoli d’ira, come gli altri. Ma Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato, da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo: per grazia siete salvati» (Ef 1,22-2,2-5).

 

La grazia accolta con fede consente alla Chiesa di essere e rimanere se stessa, vigile e forte nel sostenere l’attacco co­stante di una mondanità che tende a corromperla.

È assolutamente importante che la Chiesa oggi si pre­senti così, cioè come comunità di redenti, soprattutto alle nuove generazioni. Lo ha detto bene il cardinale Spidlik: «Oggi il mondo aspetta la manifestazione della Chiesa nella maniera in cui negli ultimi secoli era vissuta da una minoranza silenziosa (...). Oggi non interessano più a nessuno le opere, fossero pure geniali, grandio­se, ma fatte in modo individualistico. Oggi la gente è interessata a quell’opera che fa vedere belle le persone perché sono persone che si amano»10.

Non dunque la Chiesa dei protagonismi ma la Chiesa della comunione paziente, che mi sembra sia ben descritta in que­ste parole della Lettera ai Colossesi: «Scelti da Dio, santi ed ama­ti, rivestitevi dunque di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umil­tà, di mansuetudine, di magnanimità, sopportandovi a vicenda e perdonandovi gli uni gli altri se qualcuno avesse di che lamentarsi nei riguardi di un’altro. Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi» (Col 3,12-13).

 

        Essere Chiesa come popolo in cammino

 

Ogni epoca della storia ha le sue caratteristiche e anche la comunione nella Chiesa è chiamata a tenerne conto. Sono convinto che la situazione attuale inviti le nostre comunità cristiane a pensar­si tali e a vivere concretamente la comunione che viene dal Vangelo avendo a cuore quattro aspetti fondamentali, che in sintesi indiche­rei così: la distribuzione della Chiesa sul territorio, la sinodalità, la ministerialità e la multiculturalità.

Oggi siamo anzitutto chiamati a vivere la comunione non solo all’interno delle parrocchie ma an­che tra parrocchie. Le Unità Pastorali sono il modo in cui stiamo rispondendo all’esigenza di calarci come Chiesa all’interno del ter­ritorio in modo nuovo, più capace di garantire alle parrocchie un respiro più ampio. Viviamole dunque come un’opportunità, come una nuova forma di carità ecclesiale, con fiducia e intelligenza pa­storale. La sinodalità - lo abbiamo più volte sottolineato - è lo stile con cui nelle comunità cristiane si esercita il compito dell’autorità a servizio della comunione. È nella sinodalità che si arriva a decidere ciò che la situazione richiede: non con ordini dall’alto ma attraver­so un discernimento condiviso, in ascolto dello Spirito. Il rinnovo dei Consigli Pastorali Parrocchiali e degli altri organismi diocesa­ni, previsto per la prossima primavera, andrà considerato un’occa­sione estremamente importante per crescere in questa direzione.

Un terzo aspetto dell’esperienza di comunità propria del­la Chiesa di oggi è la ministerialità. Il futuro delle nostre comunità parrocchiali è affidato a tutti coloro che le compongono e ognuno è chiamato a dare il suo contributo. Carismi diversi, figure nuove, responsabilità condivise: questo ci aspetta guardando avanti, nel rispetto della natura apostolica della Chiesa. Infine, la pluralità di etnie e di culture: la comunione nella Chiesa domanda oggi la va­lorizzazione delle identità culturali. Molti cristiani cattolici di al­tre nazionalità sono qui con noi e vanno ormai considerati a pieno titolo parte della nostra Chiesa diocesana e delle nostre comuni­tà parrocchiali. Quando penso al nostro cammino come popolo di Dio e guardo al momento presente, non riesco a immaginarlo sen­za queste quattro attenzioni specifiche. Lo Spirito santo ci aiuti a coltivarle con sapienza ed efficacia.

 

     

         Il futuro della famiglia

 

       Un ruolo determinante all’interno della comunità cristia­ne è svolto dalle famiglie. In verità si tratta di un ruolo che risulta centrale per la stessa società. Questo tempo di pandemia lo ha di­mostrato in modo ancora più evidente. Ritengo essenziale guarda­re alla famiglia e al suo futuro con un’attenzione privilegiata, rac­cogliendo in particolare l’invito che ci è giunto da papa Francesco attraverso l’esortazione apostolica postsinodale Amoris Laetitia. Al riguardo mi preme comunicare che, come espresso lo scorso anno, intendo dare attuazione a quanto annunciato e offrire indicazioni specifiche circa le cosiddette “situazioni matrimoniali irregolari”, argomento affrontato nel capitolo ottavo di Amoris Laetitia sotto un titolo, molto più appropriato, che suona cosi: «Accompagnare, discernere e integrare la fragilità».

Un punto mi preme tuttavia rimarcare: se nel capitolo ottavo Amoris Laetitia affronta con delicatezza e con coraggio un aspetto rilevante dell’esperienza matrimoniale, nei capitoli centra­li (quarto e quinto) mira direttamente al cuore della questione e affronta la grande sfida attuale, che consiste nel far percepire, in particolare alle nuove generazione, la bellezza della famiglia come esperienza singolarissima di amore. Il futuro della famiglia, infatti, si gioca qui: nella capacità di incontrare il desiderio non sopito dei giovani di vivere l’esperienza meravigliosa dell’amore tra uomo e donna che diventa fecondo e si apre alla maternità e alla paterni­tà. Viverlo in tutta la sua profondità e verità, cogliendone tutti gli aspetti che lo rendono assolutamente unico e che in Amoris Laeti­tia vengono richiamati attraverso alcune parole che mi piace sem­plicemente far risuonare: tenerezza, rispetto, amicizia, passione, stupore, sincerità, dialogo, fedeltà, gratitudine, perdono. Abbiamo qui un’indicazione precisa su quello che dovrà essere il compito primario della nostra pastorale familiare per i prossimi anni. Avrei tanto desiderio che insieme ci aiutassimo a individuare i passi da compiere per darle piena attuazione.

 

         Dare spazio ai giovani

 

Un pensiero ai giovani viene a questo punto spontaneo, anche alla luce dell’intenso lavoro che abbiamo insieme compiuto lo scorso anno, in vista della elaborazione di quelle linee di pasto­rale giovanile vocazionale cui abbiamo dato il titolo significativo di Futuro prossimo. La dolorosa vicenda della pandemia ha interrotto un processo che sembrava appena avviato e che merita di esse­re ripreso con passione. Raccomanderei a tutti di farlo. Ai giovani rivolgo l’invito a sentirsi protagonisti attivi della vita della Chiesa e della sua opera di annuncio del Vangelo e a tutti raccomando di dare spazio ai giovani in modo sempre più reale, rendendoli prota­gonisti e insieme non lasciando mancare loro quella presenza edu­cativa che tanto ricercano e apprezzano. E non dimentichiamo che la gran parte dei giovani ci attende al di fuori degli ambienti eccle­siali. Voi, cari giovani che avete conosciuto il Signore e che lo amate, siate i primi missionari per i vostri coetanei che sono in ricerca. A voi chiedo anche di aiutarci a vivere quell’essenzialità del Vangelo che ci sta particolarmente a cuore in questo momento.

 

 

DOMANDE PER LA RIFLESSIONE COMUNITARIA

  1. Leggi con attenzione e sottolinea i passi più interessanti.
  2. Come si potrebbe tradurre in atteggiamenti personali e comunitari.

………………………………………………………………………………………….

Il Don

don Alberto Cinghia