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NON POTREMO DIMENTICARE

La voce dello Spirito in un tempo di prova

 

LETTERA PASTORALE 2020

PIERANTONIO TREMOLADA, VESCOVO DI BRESCIA

 

Gli inviti che ci vengono dall’esperienza vissuta

primo invito a puntare sull’ essenzialità della vita cristiana;

secondo a sentirsi comunità nell’appartenenza viva alla Chiesa;

terzo a promuovere coraggiosamente un rinnovamento della società;

quarto, infine, a mantenersi nella prospettiva del mistero eucaristico.

 

Terza essenzialità:

Contribuire a un rinnovamento coraggioso della società

 

Un terzo invito che ritengo ci giunga dai giorni dram­matici che abbiamo vissuto è un invito per così dire ad extra, cioè più direttamente legato a quella che è la missione della Chiesa a favore del mondo. Se non possiamo archiviare l’esperienza vissu­ta semplicemente come un brutto momento da dimenticare; se, al contrario, dobbiamo raccogliere con coraggio l’insegnamento che porta con sé, allora dovremo disporci a compiere una valutazione onesta dell’attuale stile di vita e chiederci se non sia necessario operare qualche significativo cambiamento. Sono convinto che la nostra società debba impegnarsi in un coraggioso rinnovamento, cui ritengo che la Chiesa debba contribuire con lucidità e passione. Vorrei provare a indicare alcune linee di tale rinnovamento, riprendendo le cinque parole chiave intorno alle quali ho cercato di impostare la rilettura spirituale del momento cruciale che ab­biamo attraversato.

 

       Corpo: contestare un consumismo ingordo che toglie profondità alla vita

 

I gesti che ci sono mancati nei giorni più critici della pan­demia e che ancora ci stanno mancando, ci ricordano che la per­sona vive anzitutto di relazioni e di sentimenti. ..Il calore di un abbraccio o di una stretta di mano non tro­va paragone sul versante di ciò che offre una società impostata sul consumo. Nessun prodotto potrà mai prendere il posto di un gesto di simpatia, di vicinanza, di affetto, di cura, di amicizia. ..Sarebbe bello poter finalmente riconoscere che la nostra società ha intrapreso con decisione una strada diversa da quella del consumo esagerato e del profitto senza scrupoli. Lo sviluppo, la pro­duzione, la capacità imprenditoriale, lo stesso mercato sono realtà importanti ma non coincidono necessariamente con la sete di gua­dagno. Solo un alto senso di umanità, coltivato in particolare dalla cultura e dalla spiritualità, ne rispetta la vera natura. È forse giun­to il momento di contestare una visione puramente commerciale della vita, dove tutto sembra avere un prezzo e tutto viene valutato in rapporto al profitto che genera. Un tale sistema sta mostrando tutta la sua inconsistenza e pericolosità: ha accresciuto la miseria delle popolazioni già povere e ha incrementato il tasso di aggressi­vità e di violenza delle società definite benestanti. Siamo stanchi di un consumismo ingordo e cieco, che toglie profondità alla vita. De­sideriamo un umanesimo caldo e illuminato, un umanesimo della cultura e della spiritualità, che renda onore alla grande dignità di ogni persona e dell’intera umanità.

 

       Tempo: ridare al quotidiano i ritmi che lo rispettano

 

Genesi :Il riposo sabbatico

2,1 Così furono portati a compimento il cielo e la terra e tutte le loro schiere. 2 Dio, nel settimo giorno, portò a compimento il lavoro che aveva fatto e cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro che aveva fatto. 3 Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò, perché in esso aveva cessato da ogni lavoro che egli aveva fatto creando.
4a Queste sono le origini del cielo e della terra, quando vennero creati.

 

Lettera agli Ebrei

4,1-11. Dovremmo dunque avere il timore che, mentre rimane ancora in vigore la promessa di entrare nel suo riposo, qualcuno di voi ne sia giudicato escluso. 2 Poiché anche noi, come quelli, abbiamo ricevuto il Vangelo: ma a loro la parola udita non giovò affatto, perché non sono rimasti uniti a quelli che avevano ascoltato con fede. 3 Infatti noi, che abbiamo creduto, entriamo in quel riposo, come egli ha detto: Così ho giurato nella mia ira: non entreranno nel mio riposo!
Questo, benché le sue opere fossero compiute fin dalla fondazione del mondo. 
4 Si dice infatti in un passo della Scrittura a proposito del settimo giorno: E nel settimo giorno Dio si riposò da tutte le sue opere. 5 E ancora in questo passo: Non entreranno nel mio riposo! 6 Poiché dunque risulta che alcuni entrano in quel riposo e quelli che per primi ricevettero il Vangelo non vi entrarono a causa della loro disobbedienza, 7 Dio fissa di nuovo un giorno, oggi, dicendo mediante Davide, dopo tanto tempo:
Oggi, se udite la sua voce, non indurite i vostri cuori!
8 Se Giosuè infatti li avesse introdotti in quel riposo, Dio non avrebbe parlato, in seguito, di un altro giorno. 9 Dunque, per il popolo di Dio è riservato un riposo sabbatico. 
10 Chi infatti è entrato nel riposo di lui, riposa anch'egli dalle sue opere, come Dio dalle proprie. 11 Affrettiamoci dunque a entrare in quel riposo, perché nessuno cada nello stesso tipo di disobbedienza.

 

La brusca frenata impressa ai nostri ritmi di vita dalla dif­fusione del contagio ci ha condotto a riflettere sul valore del tem­po e sul modo di utilizzarlo. Ci siamo resi conto che forse il tempo potrebbe essere ben speso anche per sostare e riposare. In alcune pagine della Bibbia (cfr. Gen 2,2-3; Eb 4,1-11) si parla di un riposo nobile e necessario, che non va affatto confuso con l’ozio o la pigri­zia. Riposarsi significa in questo caso trovare pace e consolazione in attività non immediatamente produttive, che mettono in gioco l’interiorità e attivano le facoltà più tipicamente umane. Il tempo dunque va utilizzato anche per questo. Non dunque semplicemen­te sfruttato per attività produttive o inesorabilmente rincorso ne­gli impegni quotidiani. La fretta toglie alla vita la sua intensità. Il rischio è quello di voltarsi indietro e dire: «Non mi sono nemmeno accordo di aver vissuto!». Il tempo va piuttosto onorato e gustato, come dono fatto all’uomo in vista del suo compimento.

Sarebbe bello poter finalmente riconoscere che la via scelta dalla nostra società non è quella dei ritmi insostenibili e degli orari disumani, che costringono le persone a sacrificare gran parte della vita quotidiana sull’altare di un’efficienza discutibile, dettata dalle solite regole del profitto. Esiste una lentezza che non è indolenza e che difende la dignità della persona. Dedicarsi a ciò che non è produzione o lavoro non significa infatti perdere tempo. Stare con i propri figli o con i propri genitori, parlarsi e raccontare quel che si vive, fermarsi a contemplare la natura o a gustare l’arte, dedicarsi alla lettura, meditare su quanto si vive è il modo migliore di spendere il proprio tempo. Siamo stanchi di una vita senza re­spiro, condotta in continua accelerazione e quindi condannata al­la superficialità. Desideriamo una vita dai ritmi più distesi, dove il tempo sia gustato e dove il cuore possa accogliere pacatamente le esperienze di vita che trasformerà in preziosi ricordi.

 

       Limite: accettare la fragilità contro l’illusorio senso di onnipotenza

 

Di fronte a un fenomeno nuovo e inatteso come la diffu­sione del coronavirus ci siano sentiti fragili e impotenti. Abbiamo fatto chiaramente l’esperienza del nostro limite. Ne abbiamo ricava­to un insegnamento decisamente importante: che cioè la debolezza è parte di noi, che abbiamo bisogno gli uni degli altri e che nessuno è padrone della propria vita. Una verità solo all’apparenza ovvia. Riconoscersi limitati non necessariamente ci deve angosciare. Ci può aprire alla dimensione più vera della vita, che chiama in cau­sa una provvidenza trascendente ma non distante. Molti in questo tempo di pandemia hanno dichiarato di essersi scoperti a pregare dopo molto tempo, sospinti da un moto interiore che li spingeva oltre i confini delle proprie limitate possibilità. Di questa provvi­denza amorevole diventano segno e strumento coloro che vivono la compassione e sanno prendersi cura. La compassione e la cura conferiscono al senso di umanità la sua forma più alta e più vera.

Sarebbe bello poter finalmente riconoscere che la nostra società ha deciso di chiudere con il mito illusorio del successo e della prestazione, obbligando le persone a vergognarsi della propria fragilità e a nascondere la propria debolezza. Accettare il limite, fino alla forma estrema della morte, è segno di saggezza. Le grandi anime, che si aprono al mistero di Dio, lo hanno sempre testimo­niato. Non così invece gli attuali media e il mondo dei social. Da una parte l’esaltazione martellante della prestanza e della vitalità e dall’altra il piacere quasi morboso di mettere in luce le debolezze altrui. Anche una scienza presuntuosamente orgogliosa non rende purtroppo un buon servizio. Il grado di civiltà di una convivenza sociale si dovrebbe misurare dalla sua capacità di difendere e di ono­rare i suoi membri più fragili: per questo saranno i bambini, gli an­ziani e i malati a meritare le maggiori attenzioni. Siamo stanchi di vedere persone che piangono sole sulla loro debolezza. Desideria­mo una società che faccia pace con la fragilità umana e che renda la compassione e la cura la regola su cui fondare se stessa.

 

      Comunità: contrastare l’individualismo e una politica dello scontro

 

Il desiderio di comunità è stato particolarmente vivo nei giorni dolorosi che abbiamo vissuto. Ci siamo sentiti più uniti e più solidali. Abbiamo cercato di aiutarci e abbiamo riconosciuto che di questo aiuto ognuno aveva bisogno. Abbiamo meglio capito che la società ha un’anima e non è semplicemente un’aggregazione organizzata. È stato consolante sentirsi parte di una realtà che ci ha stretto come in un abbraccio e vedere che molti responsabili a livello istitu­zionale, nei presidi ospedalieri e nei palazzi comunali, si sono gene­rosamente spesi a servizio di tutti. Abbiamo anche meglio capito, in questo modo, quale sia la finalità di una vera politica e quanto sia prezioso il suo sapiente e generoso esercizio. L’onestà, il senso del dovere, la solidarietà verso i più deboli, la collaborazione sincera, l’alta professionalità, l’abnegazione e la dedizione si sono rivelate ve­re e proprie virtù politiche, di cui la società ha un bisogno estremo.

Sarebbe bello poter finalmente riconoscere che la nostra società ha deciso di prendere le distanze nei confronti di un indivi­dualismo cieco e gaudente, che, contro ogni evidenza, induce a cre­dere che ognuno basti a se stesso. Chi guarda il mondo con la sola preoccupazione di garantirsi benessere e gratificazione costruisce sulla sabbia. Prima o poi si accorgerà di aver bisogno degli altri. L’in­dividualismo è la radice di molti mali che feriscono profondamen­te il vissuto sociale. Porta infatti con sé l’idea di una libertà senza vincoli, che riconosce semplicemente il proprio diritto. Da qui la fatica ad accogliere l’altro nella sua diversità e quindi la diffidenza, il pregiudizio, il rifiuto. Il senso di comunità muove nella direzione opposta e mira a superare le barriere dell’io per edificare la società sul principio del bene comune. È questo il fine a cui tende la vera politica, nella sana dialettica democratica. La politica è l’arte nobile del ricercare, progettare ed attuare il bene possibile per tutti. Siamo stanchi di vedere gli effetti deleteri dell’egoismo sociale e di una po­litica troppo spesso conflittuale. Desideriamo un mondo in cui la convivenza civile abbia sempre più la forma della comunità e dove la politica si ponga umilmente a servizio di questo nobile progetto.

 

       Ambiente: pensare lo sviluppo in un’etica della sostenibilità

 

Il blocco provocato dall’epidemia ha permesso alla natu­ra di mostrarsi autonoma nei suoi processi e insieme di sentirsi al­meno temporaneamente alleggerita dal peso di uno sfruttamento che la sta opprimendo. Il messaggio che giunge da questa conside­razione riprende in realtà il pressante appello che da tempo si sta alzando da più parti e che ha trovato nella Laudato si’ un’espres­sione particolarmente autorevole. La terra è la nostra casa comune e come tale va considerata. Le dobbiamo rispetto e cura. Un’eco­nomia del profitto e una tecnologia solo apparentemente neutrale stanno mettendo gravemente a rischio l’equilibrio sia ambientale che sociale del nostro pianeta. Non possiamo né dobbiamo ferma­re lo sviluppo, ma questo dovrà essere integrale e sostenibile e ispi­rato da principi etici11.

Sarebbe bello poter finalmente riconoscere che la nostra società ha deciso di contrastare in tutti i modi lo sfruttamento scon­siderato dell’ambiente e il saccheggio delle risorse, motivati da una falsa idea di sviluppo. A livello internazionale non sono più rinvia­bili scelte precise riguardati le nuove fonti energetiche, gli equilibri degli ecosistemi, la difesa degli oceani e delle foreste, l’inquinamen­to nelle sue molteplici forme devastanti12. È anche giunto momento di promuovere uno stile di vita che nel quotidiano segni una vera svolta nel rispetto dell’ambiente: piccoli gesti che dicano un cambia­mento di mentalità13. Siamo stanchi di ragionamenti pretestuosi, che mettono a rischio la natura che ci circonda. Desideriamo ascoltare finalmente parole diverse, vedere progetti coraggiosi e constatare comportamenti nuovi, che siano espressione del rispetto e della cu­ra per il meraviglioso giardino che Dio ci ha donato.

 

DOMANDE PER LA RIFLESSIONE COMUNITARIA

  1. Leggi con attenzione e sottolinea i passi più interessanti.
  2. Come si potrebbe tradurre in atteggiamenti personali e comunitari.

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Il Don

don Alberto Cinghia